venerdì 28 luglio 2017

Coltivare le patate in un metro quadrato

Riassunto del procedimento per coltivare la patata in poco spazio per il consumo stagionale, utilizzando materiali di recupero. L'impianto può facilmente essere posizionato all'interno dell'orto o in uno spazio soleggiato inutilizzato. La varietà della patata precoce o tardiva è una scelta personale, io ho utilizzato una specie semi-precoce poche innaffiature e nessun trattamento. Naturalmente qualsiasi contenitore è adatto a partire dal sacco di iuta come indicato in un altro mio post.
A mio parere visto il poco impegno nella coltivazione vale la pena per avere un ortaggio molto utilizzato, certo non è una produzione da conservare ma un ortaggio da avere nel periodo di raccolta. La semente non è ciò a cui aspiro ma ho trovato solo quella ma per il prossimo anno cercherò una semente bio e più adatta alla coltivazione "verticale".

Chiunque voglia condividere la propria esperienza può scriverlo nei commenti o alle mie e-mail oppure al mio profilo fb grazie. 


Semina: in questo contenitore sono state messe nr. 3 file da 3 sementi del peso di circa 70 gr. alla raccolta abbiamo avuto più di 4 kg. di patate
la semina è stata effettuata in Marzo nella costellazione della Vergine in luna discendente
la raccolta a Luglio con luna in Leone in luna discendente


Sperimentato la coltivazione della patata in un imballo per pietre recuperato come quello nella foto1

foto1








 

e trasformato con tavole di recupero in una cassa misure; 110x90x70
Riempito con terra per un terzo e seminato patate nr. 3 file da 3 peso medio della patata da seme 70gr.
foto2

                                                            foto2

Sono susseguite diverse rincalzature e chiuso le parete della cassa per contenere la terra lasciando sempre la cima della pianta con le foglie sopra al terreno. foto 3 e foto 4













  foto3
foto4

Dopo circa 3 mesi sempre rincalzando e aggiungendo terreno avevano raggiunto il bordo superiore.
foto4 e foto5

 foto4

















                                                                                      foto5
A questo punto a Luglio hanno raggiunto la massima altezza, fiorito e lentamente si sono seccate, segno che erano pronte per la raccolta.








giovedì 27 luglio 2017

Coltivare le patate in un sacco

Per chi non lo sapesse esiste un modo per coltivare le patate in " verticale"

magari per carenza di spazio o per animali che possono distruggere l'impianto, questo metodo a mio parere sembra efficace, non l'ho mai sperimentato ma lo farò prossimamente pubblicando la costruzione dell'impianto e i risultati. Inoltre penso, ma non ho riprova, che sia una tecnica non proprio moderna e da indagare.
In pratica la pianta viene seminata in un contenitore e mal mano che cresce, la parte aerea viene rincalzata quando è ben sviluppata, cercando di sfruttare al massimo la capacità del fusto di produrre tuberi.





La patata.
L’apparato radicale è di tipo

fascicolato, abbondantemente
sviluppato con numerose
diramazioni capillari, ma con
scarsa capacità di penetrazione,
essendo dislocato in prevalenza
(85%) fino a 30-40 cm di
profondità. Dalla parte ipogea
del fusto si sviluppano gli
stoloni che, ingrossando
all’apice, danno luogo al tubero.






Procedimento
Si inserisce in un sacco o altro contenitore io adotterò ad esempio un telaio di legno delle dimensioni di 120x 90x 100 del terreno misto a terriccio, naturalmente biologico, per un’altezza di circa 30 cm. Sotto questo terriccio metterete il vostro tubero, ci possono stare dalle 4 alle 10 patate come nel mio caso, calcolate di lasciare circa 30 – 40 cm di distanza da una all’altra. La patata va interrata per circa 5 cm. In un balcone non serve pacciamare con la paglia, le erbe infestanti saranno poche e potrete toglierle tranquillamente a mano.
Quando la pianta sarà alta circa 30 cm sarà ora di aggiungere terriccio nel contenitore in modo tale da far si che la pianta si sviluppi in altezza e produca più tuberi. Fate in modo che l’aggiunta copra la pianta alla base lasciando fuori sempre un 20 – 25 cm di pianta con le sue foglie. Nel giro di 3 –  4 mesi il contenitore sarà stato riempito fino quasi all’orlo e verso luglio la pianta comincerà a seccarsi. A questo punto svuotate il contenitore e avrete moltissime patate pronte per essere consumate.


 segue il procedimento del mio impianto......

mercoledì 26 luglio 2017

Calendario dei trapianti








PianteTemperatura OttimaleTrapianto in campo apertoTrapianto in serraTempi di raccolta in giorni
Anguria20-30 °Cda aprile a giugnoda febbraio a marzo-aprile100-120
Asparago20-25 °Cda marzo a settembrenon consigliatodue anni
Basilico15-20 °Cda aprile a settembreda gennaio a marzo25-50
Bietola da costa12-18 °Ctutto l'annonon consigliato40-60
Carciofo25-30 °Cda luglio a ottobrenon consigliato100-150
Cardo25-30 °Cda luglio a settembrenon consigliato120-150
Cavolfiore10-25 °Cda maggio a febbraionon consigliato70-130
Cavolo broccolo10-25 °Cda maggio a febbraionon consigliato70-130
Cavolo cappuccio17-28 °Cda maggio a febbraionon consigliato70-130
Cavolo verza8-25 °Cda maggio a febbraionon consigliato70-130
Cetriolo15-30 °Cda aprile a settembreda settembre a marzo45-65
Cicoria o radicchio15-20 °Cda agosto a febbraionon consigliato60-80
Cipolla12-25 °Ctutto l'annonon consigliato120-180
Fagiolo nano15-25 °Cda marzo a settembreda gennaio a febbraio45-60
Fagiolo rampicante15-25 °Cda marzo a settembreda gennaio a febbraio45-60
Finocchio14-22 °Cda agosto a novembrenon consigliato75-150
Fragola8-20 °Cda settembre a ottobre e da febbraio a giugnoda ottobre a dicembre90-120
Indivia18-20 °Ctutto l'annoda dicembre a gennaio35-75
Lattuga8-20 °Ctutto l'annoda dicembre a gennaio35-75
Mais18-20 °Cda aprile a agostoda febbraio a marzo100-150
Melanzana20-35 °Cda marzo a agostoda gennaio a febbraio e da settembre a dicembre50-70
Melone24-35 °Cda aprile a giugnoa dicembre (solo innestato)120
Peperone18-35 °Cda marzo a agostoda settembre a febbraio120-150
Pisello nano8-24 °Cfine autunno-inizio invernonon consigliato50-65
Pomodoro16-35 °Cda marzo a lugliotutto l'anno90-120
Porro12-25 °Ctutto l'annonon consigliato100-120
Prezzemolo13-20 °Ctutto l'annonon consigliato25-50
Rapa e cime15-25 °Ctutto l'anno (tranne marzo e aprile)non consigliato80-120
Sedano16-21 °Cda marzo a dicembrenon consigliato150-180
Spinacio7-24 °Ctutto l'anno (disponibile gennaio-marzo e agosto-dicembre)non consigliato35-50
Zucca20-35 °Cda aprile a giugnonon consigliato60-90
Zucchino21-35 °Cda marzo a settembreda ottobre a febbraio25-40

domenica 11 giugno 2017

Raccolta di aglio giugno 2017

Impianto di bulbi di aglio ad ottobre 2016 con luna nella costellazione della Vergine, Sole in Vergine
Mercurio in Vergine, Venere in Vergine segno di radici
Raccolta mese di giugno, luna in Vergine.


 

Il pianeta che domina questa pianta è Marte e la divinità ad essa associata è Ecate Triforme.














sabato 3 giugno 2017

Coltivare in letto rialzato e costruzione

L’orto a lasagna, utilizzato nella permacultura, è un orto sopraelevato rispetto al livello del terreno, grazie ad una struttura rialzata di contenimento dello stesso o semplicemente grazie ad un accumulo di terreno realizzato con tutto ciò che è organico e naturale.
orto rialzato



Perché coltivare nell’orto lasagna? Ci sono tanti vantaggi:
  1. Manutenzione semplice: l’orto rialzato agevola la piantumazione e la cura degli ortaggi
  2. Risparmio: l’irrigazione è ridotta grazie all’utilizzo della pacciamatura che viene distesa tra gli ortaggi mantenendo così umido il terreno.
  3. Riciclo di tutti gli elementi organici a disposizione (es. organico cucina, scarti potature, foglie, sfalci d’erba, cartoni etc..).
  4. Il concime, il compost, la pacciamatura possono essere distribuiti in modo  mirato e senza sprechi
  5. Riduzione delle infestanti sempre grazie alla pacciamatura e alla piantumazione più fitta degli ortaggi
  6. Aumento della produttività derivato sempre dalla piantumazione più fitta degli ortaggi
  7. Più varietà di piante, grazie alle condizioni del terreno che possono essere variate in ciascun letto creando la possibilità di coltivare piante che amano caratteristiche del terreno diverse come ad esempio un il terreno acido, un drenaggio maggiore, un orientamento specifico…
  8. Drenaggio migliore perché il suolo intorno alle piante non viene calpestato, ideale in caso di terreni argillosi
  9. Miglioramento dei tempi di coltivazione, ad esempio si può  allungare il periodo di coltivazione perché i letti rialzati tendono a riscaldarsi prima in primavera e rimangono produttivi più a lungo
  10. Minore attacco di parassiti. La creazione di biodiversità comporta un minore attacco di parassiti agli ortaggi grazie alla piantumazione in sinergia di piante amiche dell’orto, come antiparassitarie, piante in grado di attirare insetti utili, aromatiche, fiori
  11. Versatilità: l’orto può diventare un elemento estetico molto bello, utile a sfruttare la produttività in spazi più limitati perfino in casa e se ben realizzato ne possono avere cura anche persone disabili











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sabato 6 maggio 2017

L'unica religione dell'essere è la natura







"C'è bisogno di una nuova cultura anche nella coltivazione, sappiamo ormai che le coltivazioni intensive provocano solo danni all'ambiente che ci costeranno care, sia in ambito economico che morale c'è bisogno di una nuova coscienza agricola del ventunesimo secolo."

 Il Giardino di Zerdesht.

Quale deve essere il giusto atteggiamento conoscitivo nei confronti della natura?

di Francesco Lamendola - 07/04/2015
Fonte: Arianna editrice

 
Oggi si fa un gran parlare della natura, dell’ecologia, del ripristino di un autentico rapporto fra uomo e ambiente, fra uomo e animali, fra uomo e natura; se ne parla anche troppo, e sovente a sproposito, perché non viene chiarito in via preliminare che cosa sia la natura per noi, in quale modo la possiamo conoscere e, di conseguenza, quale sia il giusto atteggiamento conoscitivo che dobbiamo assumere verso di essa.

Si dice e si ripete, per esempio, che il disastro ecologico attuale è stato provocato dal fatto che l’uomo si è allontanato dalla natura, che si è dimenticato di essere parte della natura, il che è una mezza verità; l’altra mezza consiste nel fatto che il disastro ecologico è stato provocato anche dal fatto che l’uomo si è dimenticato di essere uomo, cioè creatura spirituale, ragionevole e dotata di libero arbitrio, per abbandonarsi ai suoi istinti inferiori, e specialmente all’istinto del possesso avido e sfrenato: vale a dire che egli è stato troppo indulgente con la propria parte naturale e troppo poco attento ed esigente circa la sua parte ragionevole e morale.

D’altra parte, è chiaro che l’uomo non può porsi di fronte alla natura, così come non può porsi di fronte ad alcunché, senza porsi, preliminarmente, dinnanzi a se stesso. Se si pensa che l’uomo sia solo e unicamente natura, allora egli non potrebbe avere alcun atteggiamento verso di essa, perché l’occhio che guarda non potrà mai vedere se stesso, ma sempre e solo degli oggetti che stanno fuori di lui (e sia pure la sua immagine riflessa in uno specchio, che non è propriamente l’occhio, ma, appunto, solo una immagine dell’occhio). Ora, il naturalismo largamente diffuso nella cultura odierna, non di rado inconsapevole proprio nel suo darsi per scontato, presuppone che l’uomo percepisca se stesso non come altro dalla natura, ma come parte della natura. Questa, però, sarebbe una contraddizione in termini: se così fosse, l’uomo non penserebbe niente della natura, così come non penserebbe niente di se stesso: sarebbe un essere puramente istintivo. Nella misura in cui pensa, si stupisce e domanda, l’uomo manifesta la sua essenza originaria, che è sovra-naturale: nella misura in cui s’interroga, egli si trascende, e, trascendendosi, si pone come altro dalla natura, pur se dalla natura egli proviene e pur se, per un aspetto, ne fa tuttavia parte.

L’uomo, dunque, fa parte della natura, ma non è, semplicemente, natura: e tutte le filosofie che vorrebbero restaurare il suo presunto stato naturale originario, non tengono conto di questa semplice verità: che l’uomo, da quando è uomo, non è più natura, non è più solo natura, ma è divenuto qualcos’altro, qualcosa che riflette e s’interroga e, pertanto, si pone rispetto alla natura come un soggetto rispetto ad un oggetto. E questo vale per chiunque sappia ragionare, compresi gli evoluzionisti e, in generale, tutti coloro i quali hanno una concezione materialistica dell’uomo e meccanicistica della natura, i quali tanto amano insistere sulla “istintualità” e sulla “naturalità” originarie dell’uomo, dimenticando che di un tale uomo, se è mai esistito, nulla possiamo dire, perché l’uomo che conosciamo è quello che si è emancipato dal puro istinto e che si è proteso al di sopra della sua condizione naturale, chiedendosi quale sia il significato del tutto e quale il suo destino finale: l’uomo sociale e culturale, dunque, non l’uomo naturale.

Sarebbe del pari sbagliato circoscrivere l’essenza della specificità umana alla ragione e alla volontà. Nell’uomo è un altro fattore originario, perfino anteriore al pensiero e alla volontà: la capacità di stupirsi davanti alle cose e di provare inquietudine per il mistero del mondo e della sua stessa vita. Tutto questo è espressione di una attitudine contemplativa: prima che ansioso di manipolare le cose, l’uomo è suscettibile di ammirarle e di meravigliarsene, ponendosi, di fronte ad esse, in un atteggiamento assolutamente disinteressato e di pura ammirazione, cioè, appunto, contemplativo. L’uomo “primitivo”, infatti, è artista in senso eminente: e basta osservare le incisioni e le pitture rupestri, per non parlare dei misteriosi complessi megalitici sparsi in tutto il mondo, per rendersi conto che, per lui, la cosa più importante, oltre ad assicurare la propria sopravvivenza, era stabilire un rapporto armonioso con il mondo, facendo leva sul senso estetico e sul senso religioso, l’uno strettamente legato all’altro.

Colui che ha decorato, con mano sicura e felicissima, le pareti delle grotte di Altamira e di Lascaux, in Europa; colui che ha impresso, innumerevoli volte, lo stampo delle proprie mani, in svariati colori, contro lo sfondo scuro della roccia, nel Cañadon de Las Pinturas, laggiù, in Patagonia, agli estremi confini del mondo: ebbene, costui non poteva essere una creatura puramente istintuale e naturale, e nemmeno un essere puramente razionale e volitivo. Era una creatura assetata di bellezza e di verità, che esprimeva la sua immensa meraviglia e il suo ardente bisogno di comunione con le cose, attingendo a un senso estetico che veniva dalla sua dimensione più intima e profonda, anteriore alla logica strumentale e a qualunque attitudine calcolante.

Ci sembrano degne di interesse le riflessioni svolte in proposito da Rocco Buttiglione nel suo libro «Il problema politico dei cattolici. Dottrina sociale e modernità» (Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1993), pp. 184-6):



«Ciò che noi chiamiamo natura è un oggetto complesso.

Innanzitutto la natura è data a priori. E per riconoscere come tale ciò che è dato a priori, dobbiamo assumere un ATTEGGIAMENTO CONTEMPLATIVO. Dobbiamo lasciar essere le cose così come sono;  dobbiamo diventare sensibili al loro SIGNIFICATO e al loro LINGUAGGIO.

L’arte vede nella natura i valori naturali  che bisogna tutelare. Ci aiuta così a comprendere LA NATURA COME LINGUAGGIO e a interpretare il suo significato. Già in questo momento contemplativo è compresa, allora, una attività creativa dell’uomo come soggetto. La contemplazione è un comprendere attraverso cui la verità della natura viene estratta dalla natura stessa e messa in evidenza.

Si impone l’affermazione secondo cui la natura intesa come linguaggio rimanda a un soggetto che ha tracciato questi segni. L’atteggiamento autenticamente artistico  è il più affine a quello dei santi e degli uomini religiosi.

In secondo luogo la natura è UN COMPITO ANCORA DA REALIZZARE. Il mondo inteso come segno richiede una risposta. La bellezza percepita nella natura ha bisogno dell’aiuto dell’uomo per conservarsi. Il mondo è incompiuto. È nostro dovere e “responsabilità” porta tarlo a compimento. Attraverso il LAVORO L’UOMO CREA IL MONDO, MA NON IN MODO ARBITRARIO, bensì rispettando le forze interne che sono insite negli oggetti della natura fin dal principio. La sua produzione non è un creare, ma un collaborare, che può essere compito solo nel dialogo con il primo dono dell’essere.

Se intendiamo la natura e l’uomo in questo modo, cambia anche la nostra concezione di scienza e di tecnica.

La scienza, allora, viene intesa nella sua essenza come concetto astratto. Essa non svela la verità sulla natura, ma fa luce sui processi naturali singoli, a sé stanti. Al fine di comprenderli meglio, essi vengono isolati, astratti dal rapporto vivo con il tutto. Le scienze della natura non ci forniscono la natura o la realtà così come sono. Non ciò che è reale viene osservato dalle scienze della natura.

Esse compiono una particolare astrazione, forniscono un particolare livello di astrazione della realtà.

Il punto di riferimento della nostra comprensione della natura non può essere il mondo che le scienze della natura ci presentano, bensì il mondo così come si dà nella conoscenza diretta. Le scienze della natura possono, sì, perfezionare e ampliare la comprensione del mondo che è data nella conoscenza diretta, ma non la possono sostituire. Sulla conoscenza diretta si basa piuttosto una comprensione artistico-religiosa della natura. Essa ci manifesta per così dire le forze positive degli oggetti della natura e ci spinge a portarli a compimento. Tuttavia al tempo stesso non si può accantonare il fatto che l’uomo ha anche un interesse immediato allo sfruttamento della natura. Al fine di soddisfare i propri bisogni, l’uomo usa gli oggetti della natura per i propri scopi.

Compito della TECNOLOGIA è di mediare tra BISOGNI UMANI, OGGETTI DELLA NATURA E RISPETTO CONTEMPLATIVO DEI VALORI DELLA NATURA per assicurare contemporaneamente l’autoconservazione dell’uomo e quella della natura. Ciò è possibile solo quando la contemplazione viene riconosciuta e vissuta anch’essa come un bisogno umano, o addirittura come il più alto dei bisogni umani. L’uomo non vuole soltanto esistere, ma anche vivere una vita umana alla luce del vero, del bello e del bene. Sotto certi aspetti l’intero problema ecologico e il problema della nostra civiltà nascono da un equivoco riguardo alla natura dell’uomo. Sulla base di tale equivoco si è sviluppata una tecnica unilaterale, che ha perduto il rapporto con la contemplazione.

Oggi la civiltà moderna è in crisi nella misura in cui è costruita su una concezione prometeica del mondo e dell’uomo. L’uomo non vuole riconoscere nel mondo alcun valore, bensì vuole agire come se fosse egli stesso a conferire valore alle cose. L’uomo può certamente conferire valore alle cose, ma solo se prima riconosce il vero valore delle cose. Egli non costituisce il valore delle cose, ma contribuisce a costituirlo.  Il fondamento rimane l’origine in una creazione divina.

La concezione prometeica della soggettività umana che ha segnato con la propria impronta la filosofia europea, e in particolare quella tedesca da Kant a Marx, è fallita. Non dobbiamo, però, ritornare a un’idea di mondo, come la auspicava Heidegger sulla scorta dei presocratici, che fa valere la natura in quanto natura e nega completamente l’intervento dell’uomo nella costituzione della realtà. Dobbiamo piuttosto riconcepire il RAPPORTO RECIPROCO DI OGGETTIVITÀ E SOGGETTIVITÀ NELL’AGIRE UMANO.

L’uomo è autore di una SECONDA COSTITUZIONE DELLA REALTÀ, che non si fonda su una materia completamente indefinita,della quale si possa disporre secondo il proprio arbitrio.

Egli costruisce piuttosto su una forma del mondo già presente, ma ancora incompiuta. Lavorare significa collaborare a costituire e a creare, in un dialogo indispensabile con il primo soggetto della costituzione e della creazione del mondo, che tutte le religioni chiamano Dio. Un lavoro così concepito deve ricuperare il suo pieno splendore come azione etica dell’uomo, che egli intraprende con tutto il suo essere, con le sue forze e i suoi bisogni fisici, come con la sua contemplazione e  la sua capacità di trascendenza. Solo l’obbedienza alla prima creazione può garantire che l’azione umana porti la natura al suo compimento e non alla sua definitiva distruzione e annientamento.»



Riassumendo. La tecnica esprime una attitudine legittima dell’uomo, ma non può essere assolutizzata, né, soprattutto, sciolta dal problema della sua destinazione: che é un problema etico, cioè un problema di valori. E la stessa cosa vale per il rapporto fra l’uomo e la natura: il fatto che egli si serva di essa esprime una istanza legittima, senza la quale l’uomo non potrebbe sussistere o, quanto meno, non potrebbe sussistere nella sua dimensione culturale e spirituale: dovrebbe regredire a uno stato animalesco e irriflesso. Ma l’uomo, lo abbiamo visto, è una creatura riflessa: ha mangiato il frutto proibito, ha scelto il mondo dei valori e voltato le spalle a quello del puro istinto; indietro non può tornare. Gli rimane solo la scelta se vuole restare fedele a se stesso in armonia con le cose e con la natura, oppure in guerra contro di esse. Se sceglie questa seconda strada, finisce per entrare in guerra contro se stesso, perché egli è natura divenuta consapevole e auto-trascesa, ma sempre continuando a far parte, per un verso, della natura medesima. Non è un angelo: non è una creatura puramente spirituale. Può scegliere se diventare un diavolo, stringendo un patto faustiano con le forze che soddisfano la sua “cupiditas”, che è espressione del matrimonio fra la sua natura inferiore e la tecnica, da cui ricava la vertigine dell’onnipotenza.

L’uomo prometeico che sfida gli dèi, l’uomo faustiano che vende la propria anima al Diavolo, sono la manifestazione di un corto circuito avvenuto nella condizione umana, allorché l’uomo perde il proprio orientamento spirituale, la propria capacità contemplativa, e si fa servo delle proprie passioni distruttive, prima fra tute la brama di possesso, che si esplicita come manipolazione illimitata delle cose, dei suoi simili – e, da ultimo, anche di se stesso.

C’è un solo modo per evitare questo destino: ritrovare le proprie radici spirituali, ritornare ad essere creatura che ammira, ama e ringrazia il suo creatore: l’Essere da cui proviene ed al quale ritornerà...

venerdì 28 aprile 2017

Flora poesia antroposofica

Sui rami nudi, a breve, piume e foglie,

e l’acqua avrà sussurri cristallini,

e tu, vestita di dolcezza andrai

lieve sfiorando primule che, bianche,

esalteranno la tua pelle rosa.

Io so che al tuo passare silenzioso,

aerea corsa, transito felice,

tutto sarà come nel primo giorno.

Ripartirà la vita, il macchinario

fermo del tempo prenderà nel ritmo

atono e freddo nuova melodia

d’astri remoti, luce e sincronia.

Forte la Voce chiamerà ad esistere

fuori dal sonno i nostri desideri,

dal gelo inestricabile i pensieri.


                         Fulvio Di Lieto


domenica 23 aprile 2017

Dalla vite maritata ai sostegni per le piante


QUANDO LA VITE SI MARITAVA AGLI OPPI

“ La vite, per esempio, richiedeva una cura e un impegno continuo, durante tutto l’arco dell’anno, inverno compreso, quando era tempo di potature. Era coltivata a piantata, cioè appoggiata a filari regolari di alberi che ricoprivano quasi tutti i campi, perlomeno quelli esposti al sole.
Anche la vite è femmina; in Toscana, dicevano che la vite
ha bisogno “dell’omo”, e l’omo, per la vite, era un albero.
La vite si legava all’albero, l’abbracciava, vi si appoggiava per salire verso il sole, cercando il calore che faceva maturare l’uva, allontanandola dall’umidità del terreno, però non al modo di una soffocante edera malefica, né come un’ingombrante, inutile vitalba.
La vite si sposava all’albero. Era un amore: un tacito reciproco consenso. Un matrimonio con l’acero campestre (l’oppio), oppure l’olmo, il gelso, o persino il pioppo nelle zone di pianura.
In alcune parti d’Italia, non a caso chiamavano questa coltivazione “vite maritata”. È  un tipo di coltura che pare risalire agli Etruschi e che da noi si è mantenuto fino a circa quarant’anni fa” .

 

Strutture di sostegno delle piante

Il sostegno delle piante è un aspetto molto importante della cura di giardino ed orto, che però non sempre viene tenuto nella giusta considerazione. Le specie vegetali possono infatti essere minacciate dal vento e dagli agenti atmosferici o più semplicemente dal loro stesso peso, prostrarsi a terra ed addirittura arrivare a spezzarsi.
Questo vale ancor di più per le specie orticole che, su fusti di ridotti diametri, portano frutti grossi e pesanti e che se lasciate crescere liberamente si prostrerebbero a terra compro
mettendo la produttività e la qualità degli ortaggi.
Attraverso i tutori si possono creare architetture creative che arricchiscono l'habitat delle piante e del giardino.

Tipologie di tutori

Sono molte le tipologie di tutore che si possono impiegare per il sostegno delle piante, e per scegliere di volta in volta qual è la soluzione migliore è bene conoscerle in modo approfondito.
  • Tutori in bambù
    sono leggeri, robusti ed ecocompatibili e possono essere impiegati in diversi contesti, sia nell’orto che nel giardino. 
  • Tutori in legno
    solitamente quelli che si trovano in commercio presentano un’estremità appuntita che facilita la penetrazione nel terreno e sono trattati con speciali prodotti che li rendono resistenti agli agenti atmosferici; nel caso di un palo “fai da te”, al contrario, bisogna provvedere ad appuntire il sostegno e a rivestirlo di un apposito prodotto conservante. Si possono impiegare rami provenienti da ceppaie che sopportano le potature (es. nocciolo, castagno, robinia…) oppure pali di maggiori dimensioni, in eucalipto o pino.
  • Tutori in ferro
    possono essere usati tondini in ferro da armatura del diametro di 12 si trovano nei magazzini di prodotti per edilizia e di lunghezze fino a 6 mt. Pratici per costruire archi e strutture aeree modellabili.
Una volta istallati i tutori si passa alla fase successiva, ossia la legatura della pianta al supporto mediante i legacci, che possono essere realizzati con diversi materiali.


 




 

















domenica 16 aprile 2017

La caotizzazione del seme.


"Lo Steiner nel 1924 disse che il seme è in una posizione di 'riposo',possiede cioè un ordine...ma quando noi lo poniamo nel terreno ( in presenza di una certa umidità nel suolo )...inizia immediatamente a 'muoversi' ( usando un termine antroposofico...'etericamente' inizia a muoversi )... anche se 'fisicamente' inizia a 'muoversi' molte ore dopo...la sua proteina entra in una situazione di disfacimento, di 'caos',di disordine...si viene cioè a rompere l'ordine iniziale (del seme)...in questo istante nel seme si presenta la possibilità e disponibilità ad assorbire i vari fattori esterni legati ai processi vitali che influenzeranno poi il nuovo ordine, cioè quello della futura pianta.....L'ambiente vivente circostante ha la possibilità, quindi, di imprimersi in vario modo durante questo processo di 'caotizzazione'."

Tratto da un post di Cappi Andrea. in Calendario agricolo (e agricoltura biodinamica).


Tutto volge al calore del sole, non c'è pianta che non vibra non c'è animale che rimane quieto e anche io nell'anima cerco la luce. Adesso ho la sensazione di cambiare pelle, questa primavera mi stanca ma è come una stanchezza dopo un sonno profondo, un riemergere al giorno.
Molte cose da fare la stagione inizia luminosa, occorre muoversi trovare il tempo giusto dopo un lungo girovagare dentro se stessi adesso è tempo di consumarsi.



Il Giardino di Zerdesht aprile 2017.















sabato 15 aprile 2017

Il migliore Azoto per il giardino

Il miglior Azoto per il vostro orto siete Voi stessi come  L'Azoth (o Azoto), in alchimia  è un solvente o farmaco universale, affine ad altre sostanze sottili come l'etere o l'alkaesth che si otterrebbe disciogliendo lo spirito vitale nascosto nella materia grossolana.



Ecco gli alchimisti operavano attraverso un solvente universale che doveva trasformare la materia in spirito. Osserviamo la natura, da un minuscolo seme crea una pianta ecco che il pensare perfetto crea una condizione univoca perfetta che non ha bisogno di interferenze. Voi tutti che coltivate per passione siete i veri alchimisti che posate il seme guardate gli astri e con grande spirito coltivate ciò che per natura è perfetto nel vostro mare di pensare che è il giardino quasi perfetto quello umano.



"Il tuo orto cos'è se non un po di te stesso disciolto in esso."

Wolf-Dieter Storl

Fammi vedere il tuo giardino e ti dirò ' chi sei: un giardino non è soltanto il biotopo, costituito da ogni sorta di piante, animali e della terra, ma lui è un mischwesen un'individualità, creati attraverso l'interazione del grande e del piccolo, il creatore Natura e dell'uomo.





"Nel nostro giardino siamo noi il faro illuminante"

Gurdatevi intorno, tutto ciò è opera vostra, siete voi il sovente universale nel vostro giardino e quello che appare materia e che avete coltivato con dedizione si trasforma in spirito ed in voi stessi ma in un altra forma e se qualcosa non va o disturba il vostro lavoro forse è in qualcosa che a che fare con noi anche se non lo comprendiamo. Leggiamo il libro della natura leggiamo noi stessi.


sabato 8 aprile 2017

Manuale orto sinergico


l metodo dell’agricoltura sinergica è stato ideato dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip e si basa sui principi di Masanobu Fukuoka secondo i quali il terreno di coltivazione non necessita di lavorazioni, la lotta ai parassiti viene fatta in modo naturale tramite l’introduzione di insetti utili e ogni intervento di fertilizzazione è da evitare scegliendo a tal fine soltanto colture da sovescio ovvero quelle colture come fava, senape e ravizzone. Quindi diversamente dall’agricoltura classica non si interviene direttamente sul terreno, non si altera quell’equilibrio naturale di microfauna e microrganismi che proliferano nei primi strati del substrato e non si interviene con concimazioni specifiche ma si lascia questo compito alla natura permettendo alle piante la conclusione del loro ciclo vitale nel terreno



L’agricoltura sinergica è un metodo di coltivazione rivoluzionario elaborato a partire
dagli anni ’80 dall’agricoltrice spagnola Emilia Hazelip (1938-2003) adattando al clima
mediterraneo i principi dell’agricoltura naturale estrapolati dall’agronomo giapponeseMasanobu
Fukuoka (1913-2008)




Questo piccolo e agile manuale, poco più di un opuscolo, scaturisce quindi dall’esigenza
di raccogliere le informazioni necessarie per dare risposte e stimoli a chi è interessato
all’argomento e vuole iniziare la coltivazione di un orto sinergico.


 http://www.silentevolution.net/docs/Manuale-orto-sinergico.pdf





sabato 1 aprile 2017

Recinto fatto di bancali

 
Ho realizzato un recinto partendo dai bancali in legno che altrimenti venivano smaltiti come rifiuti legnosi.


Questo è un rifiuto della società cosiddetta moderna milioni di bancali in legno utilizzati per trasportare merci che poi vengono smaltiti come rifiuti legnosi. Parliamo di milioni di piante
abbattute per trasportare merci.




Ci sono in rete migliaia di modi per riciclarli io li ho usati per fare una recinzione che andrò a completare con la tinteggiatura per renderla resistente agli agenti atmosferici.

1) schiodatura della parte inferiore  


 






 
 








2) sagomatura e assemblaggio